Città nemiche
di
Antonio Mucciaccio
"Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello !
Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon della sua terra
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro ed una fossa serra."
I versi di Dante (Purg. VI, 76-84) illuminano con grande effetto e una bellezza tragica le vicende delle secolari lotte tra le città italiane e anche tra le fazioni all'interno delle stesse città, al tempo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini.
A fronte dell'anima di Sordello che, appena sente Virgilio nominare "Mantova...", sua patria, subito gli va incontro dicendo "O Mantovano, io son Sordello/ della tua terra !"; e lun l'altro abbracciava", stanno, in drammatico contrasto, gli abitanti delle città che nutrono odi feroci contro chi abita al di là dei fossati e dentro le mura delle città vicine.
Le lotte tra città nemiche hanno cause, evidenti e peculiari, molto diverse da quelle delle grandi guerre provocate, nei secoli, dagli scontri di civiltà: Greci contro Persiani, Romani contro Cartaginesi, mondo Cristiano contro mondo Islamico. Nelle guerre tra città nemiche entrano in gioco odi e ostilità, che scuotono gli animi in modo diretto, personalizzato, accresciuti dal fatto che molti dei contendenti si conoscono, si sono amati e odiati negli anni e gli odi tra città sono ulteriormente fomentati ed alimentati dai rancori personali.
Esemplare, tra le storie di città nemiche, è la lotta sorda prima e poi la guerra tra Siena e Firenze, che hanno visto "l'Arbia colorata in rosso" nella celebre battaglia di Montaperti del 4 settembre 1260. L’Arbia, ai tempi della fatale battaglia, forse aveva una portata di tutto rispetto; oggi è un canale modesto e quasi sepolto dall’erba silenziosa di campi immemori. Ma nel placido silenzio, interrotto dal fruscio del vento, la memoria storica tinge di rosso i campi, disseminando per l’ampia piana di Montaperti “ossa che fremono amor di patria/ scintille d’elmi e di cozzanti brandi/ corrusche d'armi ferree larve guerriere/ cercar la pugna; e all'orror de' notturni silenzi/ si spandea lungo ne' campi di falangi un tumulto/ e un suon di tube e un incalzar di cavalli accorrenti/ scalpitanti su gli elmi a' moribondi,/ e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.” (Foscolo-I Sepolcri-vv.196-212). Non c’è alcuna differenza, a battaglia terminata, tra campo italico o greco o russo. Vinti morti e moribondi; vincitori inferociti e violenti, e pianti e inni e fratelli che uccidono fratelli, sempre.
Ma torniamo alla guerra Firenze-Siena: i guelfi fiorentini avevano bandito ed espulso la fazione ghibellina, che aveva in Farinata degli Uberti uno dei suoi capi più prestigiosi. Farinata e i suoi avevano trovato rifugio, ospitalità e protezione nella Siena ghibellina. Questo episodio, insieme ad altre pregresse ragioni di attrito e di odio,andava ad acuire lo scontro.
In pochi mesi i fiorentini mettono in campo, insieme ad altre città toscane di parte guelfa, un esercito di oltre 32.00 uomini e inviano una ambasceria a Siena con una intimazione perentoria, che suona come un vero ultimatum: i senesi devono arrendersi senza tentare alcuna resistenza, abbattere un lungo tratto delle loro mura e accogliere quello fiorentino come esercito di occupazione. Ascoltate le insolenti richieste dei legati fiorentini, gli animi dei senesi sono presi dallo sconforto e dalla disperazione. Come si possono contrastare le forze di Firenze e delle altre città guelfe, se Siena e i suoi alleati non possono mettere in campo più di 12.000 uomini ?
Mentre si diffondono pianti e lamenti, il vescovo chiama tutti gli abitanti a raccolta nella cattedrale e con una solenne liturgia affida la città alla protezione della Vergine.
Intanto, ecco che arrivano 1000 cavalieri inviati da Manfredi, il re "biondo, bello e di gentile aspetto". Li comanda il conte Giordano d'Anglona, che incede maestoso nella Piazza Grande.
I capi senesi subito gli si fanno intorno, gli manifestano tutta la loro disperazione e lo informano delle minacciose richieste dei fiorentini. Giordano d'Anglona, nell'ascoltare le condizioni poste dagli ambasciatori fiorentini e prima che si iniziasse a discuterle, scoppia in una fragorosa risata, alla quale subito si uniscono tutti i suoi cavalieri. Questa risata contagia tutta la folla raccolta nella piazza e spazza dagli animi dolore e disperazione.
Il conte Giordano si incontra con i comandanti e appronta la strategia e la tattica: non bisogna attendere l'assedio dell'esercito fiorentino, ma uscire in armi dalla città e affrontarlo in campo aperto.
Molto prima delle luci dell'alba del 4 settembre 1260 i Fiorentini, accampati sulla riva del fiume Arbia, dormono tranquilli nelle loro tende, sicuri della loro superiorità. Ma ecco che, con grande strepito e grida terribili, giunge la carica della cavalleria di Manfredi, con alla testa il conte Giordano d'Anglona. Lo scontro a sorpresa è dirompente. L'accampamento fiorentino è in subbuglio e vi regna il più grande disordine. Svegliati di soprassalto i Fiorentini non hanno modo di vestirsi, di armarsi, di organizzarsi. Tutti si danno alla fuga nella notte, reggendosi alla meglio le brache. Nello scompiglio generalizzato arrivano i Senesi che fanno la parte dei macellai, inseguendo e scannando i Fiorentini in fuga.
La battaglia di Montaperti ha segnato la storia tra le due città nemiche per tutti i secoli successivi, tanto che, ancora nel 1966, all'epoca dell'alluvione di Firenze, su qualche cantonata di Siena è apparsa la scritta: "Forza Arno !".
E ancora........... pochi anni fa è giunto a Termoli Odoardo Piscini, un professore di lettere classiche, senese, ma in servizio nel Liceo Classico di Empoli. Quando gli ho detto: "un senese a Empoli ?! Ma Empoli non è la città in cui, dopo la vittoria di Motaperti, si tenne un concilio degli alleati per decidere la completa distruzione di Firenze, fino a raderla dalla faccia della terra e il solo Farinata degli Uberti si alzò e vi si oppose "a viso aperto" ? "Quello di Farinata - mi rispose il prof. - è stato il più grande errore della storia ! ".
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello !
Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon della sua terra
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro ed una fossa serra."
I versi di Dante (Purg. VI, 76-84) illuminano con grande effetto e una bellezza tragica le vicende delle secolari lotte tra le città italiane e anche tra le fazioni all'interno delle stesse città, al tempo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini.
A fronte dell'anima di Sordello che, appena sente Virgilio nominare "Mantova...", sua patria, subito gli va incontro dicendo "O Mantovano, io son Sordello/ della tua terra !"; e lun l'altro abbracciava", stanno, in drammatico contrasto, gli abitanti delle città che nutrono odi feroci contro chi abita al di là dei fossati e dentro le mura delle città vicine.
Le lotte tra città nemiche hanno cause, evidenti e peculiari, molto diverse da quelle delle grandi guerre provocate, nei secoli, dagli scontri di civiltà: Greci contro Persiani, Romani contro Cartaginesi, mondo Cristiano contro mondo Islamico. Nelle guerre tra città nemiche entrano in gioco odi e ostilità, che scuotono gli animi in modo diretto, personalizzato, accresciuti dal fatto che molti dei contendenti si conoscono, si sono amati e odiati negli anni e gli odi tra città sono ulteriormente fomentati ed alimentati dai rancori personali.
Esemplare, tra le storie di città nemiche, è la lotta sorda prima e poi la guerra tra Siena e Firenze, che hanno visto "l'Arbia colorata in rosso" nella celebre battaglia di Montaperti del 4 settembre 1260. L’Arbia, ai tempi della fatale battaglia, forse aveva una portata di tutto rispetto; oggi è un canale modesto e quasi sepolto dall’erba silenziosa di campi immemori. Ma nel placido silenzio, interrotto dal fruscio del vento, la memoria storica tinge di rosso i campi, disseminando per l’ampia piana di Montaperti “ossa che fremono amor di patria/ scintille d’elmi e di cozzanti brandi/ corrusche d'armi ferree larve guerriere/ cercar la pugna; e all'orror de' notturni silenzi/ si spandea lungo ne' campi di falangi un tumulto/ e un suon di tube e un incalzar di cavalli accorrenti/ scalpitanti su gli elmi a' moribondi,/ e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.” (Foscolo-I Sepolcri-vv.196-212). Non c’è alcuna differenza, a battaglia terminata, tra campo italico o greco o russo. Vinti morti e moribondi; vincitori inferociti e violenti, e pianti e inni e fratelli che uccidono fratelli, sempre.
Ma torniamo alla guerra Firenze-Siena: i guelfi fiorentini avevano bandito ed espulso la fazione ghibellina, che aveva in Farinata degli Uberti uno dei suoi capi più prestigiosi. Farinata e i suoi avevano trovato rifugio, ospitalità e protezione nella Siena ghibellina. Questo episodio, insieme ad altre pregresse ragioni di attrito e di odio,andava ad acuire lo scontro.
In pochi mesi i fiorentini mettono in campo, insieme ad altre città toscane di parte guelfa, un esercito di oltre 32.00 uomini e inviano una ambasceria a Siena con una intimazione perentoria, che suona come un vero ultimatum: i senesi devono arrendersi senza tentare alcuna resistenza, abbattere un lungo tratto delle loro mura e accogliere quello fiorentino come esercito di occupazione. Ascoltate le insolenti richieste dei legati fiorentini, gli animi dei senesi sono presi dallo sconforto e dalla disperazione. Come si possono contrastare le forze di Firenze e delle altre città guelfe, se Siena e i suoi alleati non possono mettere in campo più di 12.000 uomini ?
Mentre si diffondono pianti e lamenti, il vescovo chiama tutti gli abitanti a raccolta nella cattedrale e con una solenne liturgia affida la città alla protezione della Vergine.
Intanto, ecco che arrivano 1000 cavalieri inviati da Manfredi, il re "biondo, bello e di gentile aspetto". Li comanda il conte Giordano d'Anglona, che incede maestoso nella Piazza Grande.
I capi senesi subito gli si fanno intorno, gli manifestano tutta la loro disperazione e lo informano delle minacciose richieste dei fiorentini. Giordano d'Anglona, nell'ascoltare le condizioni poste dagli ambasciatori fiorentini e prima che si iniziasse a discuterle, scoppia in una fragorosa risata, alla quale subito si uniscono tutti i suoi cavalieri. Questa risata contagia tutta la folla raccolta nella piazza e spazza dagli animi dolore e disperazione.
Il conte Giordano si incontra con i comandanti e appronta la strategia e la tattica: non bisogna attendere l'assedio dell'esercito fiorentino, ma uscire in armi dalla città e affrontarlo in campo aperto.
Molto prima delle luci dell'alba del 4 settembre 1260 i Fiorentini, accampati sulla riva del fiume Arbia, dormono tranquilli nelle loro tende, sicuri della loro superiorità. Ma ecco che, con grande strepito e grida terribili, giunge la carica della cavalleria di Manfredi, con alla testa il conte Giordano d'Anglona. Lo scontro a sorpresa è dirompente. L'accampamento fiorentino è in subbuglio e vi regna il più grande disordine. Svegliati di soprassalto i Fiorentini non hanno modo di vestirsi, di armarsi, di organizzarsi. Tutti si danno alla fuga nella notte, reggendosi alla meglio le brache. Nello scompiglio generalizzato arrivano i Senesi che fanno la parte dei macellai, inseguendo e scannando i Fiorentini in fuga.
La battaglia di Montaperti ha segnato la storia tra le due città nemiche per tutti i secoli successivi, tanto che, ancora nel 1966, all'epoca dell'alluvione di Firenze, su qualche cantonata di Siena è apparsa la scritta: "Forza Arno !".
E ancora........... pochi anni fa è giunto a Termoli Odoardo Piscini, un professore di lettere classiche, senese, ma in servizio nel Liceo Classico di Empoli. Quando gli ho detto: "un senese a Empoli ?! Ma Empoli non è la città in cui, dopo la vittoria di Motaperti, si tenne un concilio degli alleati per decidere la completa distruzione di Firenze, fino a raderla dalla faccia della terra e il solo Farinata degli Uberti si alzò e vi si oppose "a viso aperto" ? "Quello di Farinata - mi rispose il prof. - è stato il più grande errore della storia ! ".