EDITORIALE
di
Alessandro Mancinella
di
Alessandro Mancinella
All’inizio fu il caos. L’uomo è in costante rapporto con ciò che lo circonda e, inevitabilmente, è portato a categorizzarlo attraverso le emozioni. Su queste basi si fonda il nostro rapporto con la realtà, che dunque parte sempre da un caos di emozioni.
Amico e nemico, passato e futuro, potente e debole, presente e assente, sono categorie descrittive che ci aiutano a parlare, sia pur approssimativamente, di eventi emozionali che dobbiamo comunicare. L’originaria difficoltà di capire tutto e subito può indurre all’ansia, all’angoscia e a giustificare l’ inclinazione a “risolvere”, spesso in maniera sbrigativa, in un modo o nell’altro, la relazioni ambigue, non facilmente inquadrabili.
Che cosa accade con la categoria “amico-nemico”?
Questa è la modalità più arcaica che possediamo per comprendere il mondo e, di riflesso, ci consente di mettere in atto azioni volte alla nostra sopravvivenza.
Risulta fondamentale, pertanto, saper distinguere potenziali amici e potenziali nemici, qual è la chiave giusta per comprendere dove far cadere la nostra scelta. Etologicamente, possiamo sostenere che è più pericoloso scambiare un nemico per amico, che un amico per nemico: nel secondo caso al massimo avremmo perso un alleato, nel primo invece ne va della stessa nostra vita. Certo è innegabile che questo aspetto sia una forte matrice presente nel nostro modo di stare nel mondo: il non farsi “fregare” è una prerogativa fondamentale dell’essere umano. Ma, accanto a questo aspetto di pura sopravvivenza individualista e “animalesca”, che ci accomuna ai coinquilini della terra, l’uomo ha sviluppato un’altra dimensione dello stare in rapporto ad un altro suo simile, legata a questa dicotomia: il nemico va costruito, per la sopravvivenza del gruppo di cui si fa parte. C’è bisogno di qualcuno esterno e diverso al proprio gruppo, per vivificare e rinsaldare il gruppo cui si appartiene.
È difficile risalire ad un periodo o momento storico preciso, ma, ad un certo punto, l’uomo ha iniziato a percepire l’altro come nemico e a temere la diversità che il mondo può contenere e sviluppare. Pensare la diversità come una forma di nemico, consente all’uomo di riconoscere chi ha di fronte, di inquadrarlo per bene e sviluppare un’adeguata forma di reazione a quella complessità emotiva che deriva dall’affrontarla.
Pensiamo alla storia recente. Gli Stati Uniti sono stati e sono un esempio lampante e paradigmatico: il loro forte senso di identità nazionale trova fondamento e linfa nella e individuazione e costruzione di un nemico contro cui allearsi, e la proposizione martellante di un nemico rafforza in un giro virtuoso la già netta identità nazionale. Pensiamo alla deriva anti-nazionalistica in cui stava scivolando il paese dopo il crollo del nemico storico “l’orso russo”: dopo l’ 11 Settembre, Bin Laden e Al Quaeda sono diventati il nuovo nemico da affrontare e la nazione si è riunita e compattata tutta, velocemente.
E da noi? Non credo che nella Storia dell’Italia ci sia stato un nemico esterno preciso, forse perché di veri Italiani non si potrebbe parlare, bensì di cittadini troppo presi da lotte interne, Guelfi contro Ghibellini, Nord contro Sud, fascisti contro partigiani, democristiani contro comunisti, mafia contro stato. Eppure, quando 151 anni fa si vide nell’Austriaco l’invasore da cacciare, nacque la nostra nazione: ma la nostra è la storia di un coacervo di popoli troppo composito, ed è improprio parlare di senso di appartenenza nazionale scattata contro “il nemico”. Fu il ceto colto borghese centro-settentrionale a volere l’unità nazionale; la popolazione meridionale ha invece percepito come abuso e violenza la cacciata del Borbone e l’annessione allo sconosciuto, estraneo e perfino “nemico” Regno di Piemonte. E, se ancora oggi il Nord si sente diverso ed estraneo al Sud, vivamente ricambiato, è proprio perché l’Unità fu un fatto imposto e voluto dalla politica e dagli interessi economici, ha percepito nemici interni e poco, pochissimo uno esterno.
Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo, rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il valore nostro. Pensiamo alla massa di notizie di cronaca nera, in cui viene marcata l’appartenenza geografica e al senso di unione che plasmano e modellano nella nazione. Questo interesse mira a mantenere alto il livello di emotività di un'ampia parte del paese e, se possibile, ad alzarlo sempre di più.
Quando se ne parla con una certa frequenza ed enfasi, bisogna chiedersi se non lo si stia facendo per distrarre l'opinione pubblica da altri temi incombenti e non favorevoli ai governi: una crisi economica, oppure le manovre impopolari del governo. Spesso il nemico esterno serve per salvarci dall’amico interno: si bonifica il gruppo d’appartenenza dall’aggressività interna, incanalandola verso un esterno.
In che modo un gruppo del genere potrebbe essere “amico”, quando il collante sia l’odio verso un altro, sorretto solo da tale emotività?
Che cosa succede, invece, con la ricerca di amici e le relazioni con essi? Sicuramente il grado di complessità è più elevato, anche se l’era attuale sta cercando di semplificarlo con l’illusione diffusa che si possa sovrapporre il concetto di amico in carne ed ossa ad amico virtuale. La funzione “aggiungi amici” non è certo paragonabile al processo che porta alla costruzione dell’amicizia, processo fondamentale perché parte proprio da quel caos emotivo iniziale, con il quale si è deciso però di fare i conti.
Di fronte al caos emotivo, dunque, la scelta è inquadrarlo secondo schemi precostituiti, che possano darci tranquillità, oppure mettere da parte ciò che pensiamo ed aprirci ad un processo, sia pur lento e faticoso, di costruzione.
Pensiamoci bene: dietro la costruzione di un’amicizia c’è sempre il desiderio di conoscere un estraneo.
Amico e nemico, passato e futuro, potente e debole, presente e assente, sono categorie descrittive che ci aiutano a parlare, sia pur approssimativamente, di eventi emozionali che dobbiamo comunicare. L’originaria difficoltà di capire tutto e subito può indurre all’ansia, all’angoscia e a giustificare l’ inclinazione a “risolvere”, spesso in maniera sbrigativa, in un modo o nell’altro, la relazioni ambigue, non facilmente inquadrabili.
Che cosa accade con la categoria “amico-nemico”?
Questa è la modalità più arcaica che possediamo per comprendere il mondo e, di riflesso, ci consente di mettere in atto azioni volte alla nostra sopravvivenza.
Risulta fondamentale, pertanto, saper distinguere potenziali amici e potenziali nemici, qual è la chiave giusta per comprendere dove far cadere la nostra scelta. Etologicamente, possiamo sostenere che è più pericoloso scambiare un nemico per amico, che un amico per nemico: nel secondo caso al massimo avremmo perso un alleato, nel primo invece ne va della stessa nostra vita. Certo è innegabile che questo aspetto sia una forte matrice presente nel nostro modo di stare nel mondo: il non farsi “fregare” è una prerogativa fondamentale dell’essere umano. Ma, accanto a questo aspetto di pura sopravvivenza individualista e “animalesca”, che ci accomuna ai coinquilini della terra, l’uomo ha sviluppato un’altra dimensione dello stare in rapporto ad un altro suo simile, legata a questa dicotomia: il nemico va costruito, per la sopravvivenza del gruppo di cui si fa parte. C’è bisogno di qualcuno esterno e diverso al proprio gruppo, per vivificare e rinsaldare il gruppo cui si appartiene.
È difficile risalire ad un periodo o momento storico preciso, ma, ad un certo punto, l’uomo ha iniziato a percepire l’altro come nemico e a temere la diversità che il mondo può contenere e sviluppare. Pensare la diversità come una forma di nemico, consente all’uomo di riconoscere chi ha di fronte, di inquadrarlo per bene e sviluppare un’adeguata forma di reazione a quella complessità emotiva che deriva dall’affrontarla.
Pensiamo alla storia recente. Gli Stati Uniti sono stati e sono un esempio lampante e paradigmatico: il loro forte senso di identità nazionale trova fondamento e linfa nella e individuazione e costruzione di un nemico contro cui allearsi, e la proposizione martellante di un nemico rafforza in un giro virtuoso la già netta identità nazionale. Pensiamo alla deriva anti-nazionalistica in cui stava scivolando il paese dopo il crollo del nemico storico “l’orso russo”: dopo l’ 11 Settembre, Bin Laden e Al Quaeda sono diventati il nuovo nemico da affrontare e la nazione si è riunita e compattata tutta, velocemente.
E da noi? Non credo che nella Storia dell’Italia ci sia stato un nemico esterno preciso, forse perché di veri Italiani non si potrebbe parlare, bensì di cittadini troppo presi da lotte interne, Guelfi contro Ghibellini, Nord contro Sud, fascisti contro partigiani, democristiani contro comunisti, mafia contro stato. Eppure, quando 151 anni fa si vide nell’Austriaco l’invasore da cacciare, nacque la nostra nazione: ma la nostra è la storia di un coacervo di popoli troppo composito, ed è improprio parlare di senso di appartenenza nazionale scattata contro “il nemico”. Fu il ceto colto borghese centro-settentrionale a volere l’unità nazionale; la popolazione meridionale ha invece percepito come abuso e violenza la cacciata del Borbone e l’annessione allo sconosciuto, estraneo e perfino “nemico” Regno di Piemonte. E, se ancora oggi il Nord si sente diverso ed estraneo al Sud, vivamente ricambiato, è proprio perché l’Unità fu un fatto imposto e voluto dalla politica e dagli interessi economici, ha percepito nemici interni e poco, pochissimo uno esterno.
Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo, rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il valore nostro. Pensiamo alla massa di notizie di cronaca nera, in cui viene marcata l’appartenenza geografica e al senso di unione che plasmano e modellano nella nazione. Questo interesse mira a mantenere alto il livello di emotività di un'ampia parte del paese e, se possibile, ad alzarlo sempre di più.
Quando se ne parla con una certa frequenza ed enfasi, bisogna chiedersi se non lo si stia facendo per distrarre l'opinione pubblica da altri temi incombenti e non favorevoli ai governi: una crisi economica, oppure le manovre impopolari del governo. Spesso il nemico esterno serve per salvarci dall’amico interno: si bonifica il gruppo d’appartenenza dall’aggressività interna, incanalandola verso un esterno.
In che modo un gruppo del genere potrebbe essere “amico”, quando il collante sia l’odio verso un altro, sorretto solo da tale emotività?
Che cosa succede, invece, con la ricerca di amici e le relazioni con essi? Sicuramente il grado di complessità è più elevato, anche se l’era attuale sta cercando di semplificarlo con l’illusione diffusa che si possa sovrapporre il concetto di amico in carne ed ossa ad amico virtuale. La funzione “aggiungi amici” non è certo paragonabile al processo che porta alla costruzione dell’amicizia, processo fondamentale perché parte proprio da quel caos emotivo iniziale, con il quale si è deciso però di fare i conti.
Di fronte al caos emotivo, dunque, la scelta è inquadrarlo secondo schemi precostituiti, che possano darci tranquillità, oppure mettere da parte ciò che pensiamo ed aprirci ad un processo, sia pur lento e faticoso, di costruzione.
Pensiamoci bene: dietro la costruzione di un’amicizia c’è sempre il desiderio di conoscere un estraneo.