La psicologia tra stato dell'arte e arte dello stato
di Alessandro Mancinella
Un problema non può essere risolto con la stessa mentalità di chi lo ha generato
Albert Einstein
Josè Mouninho nel 2008, rispondendo ai giornalisti italiani in merito ad una sua mancata presentazione ad una conferenza stampa lasciata al suo vice, afferma che pensava che in Italia ci fosse più passione per il calcio e meno per quello che c’e’ intorno ad esso. Continua dicendo come si sia più interessati allo show-polemica, come nel suo caso per la mancata presentazione alla conferenza stampa, che ad osservare come nella partita appena finita la squadra avversaria abbia giocato con dieci difensori, e che di conseguenza nessuno si preoccupa per il fatto che il calcio italiano fuori dal suo contesto è considerato un prodotto molto piccolo non paragonabile al campionato inglese e spagnolo, i cui guadagni fuori dai confini nazionali sono nettamente superiori. Una situazione del genere si presta come metafora per parlare dello stato dell’arte in cui versa la psicologia.
Il mondo del calcio “parlato” è un mondo fatto di banalità, di frasi fatte, quasi sempre le stesse, che non dicono nulla più dell’ovvio. Potremmo affermare che un’intervista degli anni 80/90 fatta ad un allenatore primo in classifica in merito al prossimo avversario, ultimo in classifica non si differenzia molto da una di oggi: “Bisogna stare attenti…Non dobbiamo sottovalutare l’avversario…Hanno bravi giocatori”. Questa dimensione di banalità, di ricorsività di frasi e affermazioni fatte è associabile alla psicologia nel momento in cui il linguaggio disciplinare psicologico manifesta tutta la sua stretta vicinanza con il senso comune. Quanto sono distanti tali affermazioni dalle frasi che spesso si sentono dire e che hanno accompagnato la psicologia dai primordi “Per raggiungere la felicità occorre non essere stressati…Un carattere introverso ha meno possibilità di ottenere un appuntamento…Bisogna essere rigidi ma anche permissivi con i bambini”.
Mondo del calcio e psicologia sono associabili da un lato alla forte proliferazione di esperti della materia in TV; per poi scoprire che non hanno mai visto un paziente che non hanno mai tirato un calcio ad un pallone, dall’altro all’idea diffusa secondo la quale la psicologia, più che una funzione competente fondata su costrutti di conoscenza, è una qualità delle persona, che tutti più o meno possiedono, così come tutti si sentono esperti nel parlare di calcio.
La frase di Mourinho devia da questi canoni narrativi, propone se vogliamo dei cambiamenti culturali e prova a far riflettere i suoi interlocutori sullo stato dell’arte in cui versa il loro contesto. La nostra riflessione vuole collocarsi sulla stessa lunghezza d’onda.
Senso comune e linguaggio disciplinare psicologico viaggiano ad una distanza troppo ravvicinata e spesso si ha la difficoltà di percepire dove cominci l’uno e termini l’altro.
Sintomo di tale vicinanza/contagio si verifica nel momento in cui la psicologia tende a fornire conoscenze che sistematizzano e danno fondamento scientifico a ciò che, per certi versi, è già appartenente al tesoretto comune di esperienza di senso. Appare inevitabile un confronto con altre discipline come l’economia, la fisica, la biologia e salta subito agli occhi l’enorme gap che divide queste discipline dalla psicologia per la valenza con la quale le loro conoscenza hanno influenzato in modo innovativo ed originale i sistemi sociali di convivenza, arrivando addirittura a ribaltare la visione dell’esperienza stessa del fenomeno in questione. Sembra, invece, che la psicologia sia preoccupata di non riuscire ad essere compresa dai suoi interlocutori e che pertanto si appoggi al linguaggio comune. Certo, magari è vero, tutti mi capiscono in questo modo, però quando tutti capiscono quello che dico, non vuol dire che sto utilizzando un linguaggio chiaro e coerente a 360°, ma forse vuol dire che sto parlando un linguaggio, soprattutto, legittimato. La psicologia ha così la tendenza a selezionare come oggetti di interesse disciplinare fenomeni estratti dal mondo.
Lo stato dell’arte così delineato ci fa vedere come l’impianto metodologico sia statico e poco propenso allo sviluppo, poiché legato soprattutto al conformismo, al suo desiderio di ricerca di regolarità comportamentali e che si caratterizza per la tendenza ad implicare un uso delle categorie psicologiche in termini reificati; cioè ad assumere che il significato dei concetti psicologici sia dato dal "pezzo" di mondo al quale essi si riferiscono, piuttosto che dalla posizione del concetto entro il dominio linguistico della disciplina. I concetti psicologici non vengono così pensati in quanto costrutti, che consentono di costruire in termini modellistici oggetti disciplinari, ma in quanto pezzi/qualità/stati del mondo. La psicologia si caratterizza così come arte dello stato poiché i concetti che utilizza sono intesi come immediatamente riferibili a “stati-pezzi” del mondo: stati pre-scientifici che tuttavia sono definiti indipendentemente dalla psicologia stessa entro le contingenze storico-culturali, legate quindi all’esperienza del senso comune.
Il modo più rappresentativo con cui si esplica questa modalità dello psicologia come arte dello stato è la divisione interdisciplinare in termini di stati/ambiti di vita sociale: psicologia dell’infanzia, criminologia, psicologia delle dipendenze, psicologia del lavoro… In questo scenario la settorializzazione della disciplina non viene intesa come un dispositivo convenzionale utilizzabile per identificare una classe di attori professionali resi omogenei in ragione del contesto di esercizio professionale che condividono; piuttosto i settori sono concepiti come aree specifiche ed autonome del discorso psicologico, in quanto caratterizzati da oggetti e metodi di indagine peculiari. Appare evidente come, nel momento in cui si definisce un’area del discorso psicologico sulla base e nei termini di un determinato campo del sistema socio-culturale, non si stia ancorando la disciplina ad oggetti psicologici (cioè a modelli definiti in chiave di costrutto teorico), ma ai fenomeni della realtà così come lì definisce l’esperienza del senso comune.
Ciò determina una condizione generale di debole fondamento teoretico sia da un punto di vista teorico che della prassi. Dal punto di vista teorico la determinazione dei fenomeni in termini di senso comune non offre nessuna assicurazione circa l’occorrenza di determinare dimensioni psicologiche distintamente ed esaurientemente riferibili a tali fenomeni e per tanto adoperabili per l’interpretazione dei fenomeni stessi. Proviamo a chiarirci con un esempio. Una spiegazione scientifica può pensarsi tale nel momento in cui è in grado di riconoscere una certa classe di dimensioni come sistematicamente implicate nel comportamento di una certa classe di fenomeni. La classe di dimensioni che consentono tale spiegazione possiamo dire che ha la funzione logica di explanation rispetto alla classe di fenomeni interpretati explained. La relazione che si stabilisce tra explanation e explained indica il modello interpretativo che regola la conoscenza del fenomeno. Pensiamo a concetti come emozione, carattere, personalità, inconscio, motivazione, bullismo[...] al loro stretto contatto con il senso comune, e alle conseguenti implicazioni socio-istituzionali che non garantiscono nessun legame tra linguaggio scientifico ed esperienza di vita quotidiana. E’ come se un fisico, ad esempio, utilizzasse la legge di conservazione della massa (nulla si crea, né si distrugge ma tutto cambia) come un explanation di un explained stabilito dal senso comune e che tale explained, ad esempio, sia la categoria ipersemica di “cambio”. Allora il fisico che si troverà ad utilizzare tale categoria lo farà sia per spiegare il cambio di stato da gassoso a liquido, sia per parlare degli operatori di Wall Street alle prese con il cambio euro/dollaro, sia per parlare delle grattatine al cambio quando si mette la retromarcia, sia per parlare del cambio della guardia a Buking Palace, sia per parlare del cambio di stagione che attanaglia madri preoccupate dal tempo incerto...
Quali sono le implicazioni sulla prassi. L’intervento psicologico risulterebbe così fortemente menomato perché lega i suoi obiettivi, la stessa fantasia sulla professione a come è costruito dal senso comune. Se lo psicologo utilizza lo stesso linguaggio, le stesse categorie della committenza per definire il fenomeno di cui si occupa, il suo significato in quel contesto culturale, ecco che lo psicologo si trova pericolosamente esposto al contagio virale della frustrazione, dell’impotenza della committenza stessa. Appare chiaro come tale contagio limiti le possibilità di sviluppo della committenza, obiettivo principale di qualsiasi intervento psicologico clinico.
E' necessario che la psicologia sottoponga a revisione critica i modelli epistemologici su cui si è tradizionalmente basata, in modo da costruirsi come scienza modellistica. Una scienza, cioè, che non prende direttamente dalla realtà gli oggetti del proprio discorso, ma li costruisce concettualmente, nei termini di un linguaggio (una sintassi ed una semantica) ostensibile, validabile, negoziabile, di ultima istanza: sviluppabile e dunque utilizzabile come leva di sviluppo.
Albert Einstein
Josè Mouninho nel 2008, rispondendo ai giornalisti italiani in merito ad una sua mancata presentazione ad una conferenza stampa lasciata al suo vice, afferma che pensava che in Italia ci fosse più passione per il calcio e meno per quello che c’e’ intorno ad esso. Continua dicendo come si sia più interessati allo show-polemica, come nel suo caso per la mancata presentazione alla conferenza stampa, che ad osservare come nella partita appena finita la squadra avversaria abbia giocato con dieci difensori, e che di conseguenza nessuno si preoccupa per il fatto che il calcio italiano fuori dal suo contesto è considerato un prodotto molto piccolo non paragonabile al campionato inglese e spagnolo, i cui guadagni fuori dai confini nazionali sono nettamente superiori. Una situazione del genere si presta come metafora per parlare dello stato dell’arte in cui versa la psicologia.
Il mondo del calcio “parlato” è un mondo fatto di banalità, di frasi fatte, quasi sempre le stesse, che non dicono nulla più dell’ovvio. Potremmo affermare che un’intervista degli anni 80/90 fatta ad un allenatore primo in classifica in merito al prossimo avversario, ultimo in classifica non si differenzia molto da una di oggi: “Bisogna stare attenti…Non dobbiamo sottovalutare l’avversario…Hanno bravi giocatori”. Questa dimensione di banalità, di ricorsività di frasi e affermazioni fatte è associabile alla psicologia nel momento in cui il linguaggio disciplinare psicologico manifesta tutta la sua stretta vicinanza con il senso comune. Quanto sono distanti tali affermazioni dalle frasi che spesso si sentono dire e che hanno accompagnato la psicologia dai primordi “Per raggiungere la felicità occorre non essere stressati…Un carattere introverso ha meno possibilità di ottenere un appuntamento…Bisogna essere rigidi ma anche permissivi con i bambini”.
Mondo del calcio e psicologia sono associabili da un lato alla forte proliferazione di esperti della materia in TV; per poi scoprire che non hanno mai visto un paziente che non hanno mai tirato un calcio ad un pallone, dall’altro all’idea diffusa secondo la quale la psicologia, più che una funzione competente fondata su costrutti di conoscenza, è una qualità delle persona, che tutti più o meno possiedono, così come tutti si sentono esperti nel parlare di calcio.
La frase di Mourinho devia da questi canoni narrativi, propone se vogliamo dei cambiamenti culturali e prova a far riflettere i suoi interlocutori sullo stato dell’arte in cui versa il loro contesto. La nostra riflessione vuole collocarsi sulla stessa lunghezza d’onda.
Senso comune e linguaggio disciplinare psicologico viaggiano ad una distanza troppo ravvicinata e spesso si ha la difficoltà di percepire dove cominci l’uno e termini l’altro.
Sintomo di tale vicinanza/contagio si verifica nel momento in cui la psicologia tende a fornire conoscenze che sistematizzano e danno fondamento scientifico a ciò che, per certi versi, è già appartenente al tesoretto comune di esperienza di senso. Appare inevitabile un confronto con altre discipline come l’economia, la fisica, la biologia e salta subito agli occhi l’enorme gap che divide queste discipline dalla psicologia per la valenza con la quale le loro conoscenza hanno influenzato in modo innovativo ed originale i sistemi sociali di convivenza, arrivando addirittura a ribaltare la visione dell’esperienza stessa del fenomeno in questione. Sembra, invece, che la psicologia sia preoccupata di non riuscire ad essere compresa dai suoi interlocutori e che pertanto si appoggi al linguaggio comune. Certo, magari è vero, tutti mi capiscono in questo modo, però quando tutti capiscono quello che dico, non vuol dire che sto utilizzando un linguaggio chiaro e coerente a 360°, ma forse vuol dire che sto parlando un linguaggio, soprattutto, legittimato. La psicologia ha così la tendenza a selezionare come oggetti di interesse disciplinare fenomeni estratti dal mondo.
Lo stato dell’arte così delineato ci fa vedere come l’impianto metodologico sia statico e poco propenso allo sviluppo, poiché legato soprattutto al conformismo, al suo desiderio di ricerca di regolarità comportamentali e che si caratterizza per la tendenza ad implicare un uso delle categorie psicologiche in termini reificati; cioè ad assumere che il significato dei concetti psicologici sia dato dal "pezzo" di mondo al quale essi si riferiscono, piuttosto che dalla posizione del concetto entro il dominio linguistico della disciplina. I concetti psicologici non vengono così pensati in quanto costrutti, che consentono di costruire in termini modellistici oggetti disciplinari, ma in quanto pezzi/qualità/stati del mondo. La psicologia si caratterizza così come arte dello stato poiché i concetti che utilizza sono intesi come immediatamente riferibili a “stati-pezzi” del mondo: stati pre-scientifici che tuttavia sono definiti indipendentemente dalla psicologia stessa entro le contingenze storico-culturali, legate quindi all’esperienza del senso comune.
Il modo più rappresentativo con cui si esplica questa modalità dello psicologia come arte dello stato è la divisione interdisciplinare in termini di stati/ambiti di vita sociale: psicologia dell’infanzia, criminologia, psicologia delle dipendenze, psicologia del lavoro… In questo scenario la settorializzazione della disciplina non viene intesa come un dispositivo convenzionale utilizzabile per identificare una classe di attori professionali resi omogenei in ragione del contesto di esercizio professionale che condividono; piuttosto i settori sono concepiti come aree specifiche ed autonome del discorso psicologico, in quanto caratterizzati da oggetti e metodi di indagine peculiari. Appare evidente come, nel momento in cui si definisce un’area del discorso psicologico sulla base e nei termini di un determinato campo del sistema socio-culturale, non si stia ancorando la disciplina ad oggetti psicologici (cioè a modelli definiti in chiave di costrutto teorico), ma ai fenomeni della realtà così come lì definisce l’esperienza del senso comune.
Ciò determina una condizione generale di debole fondamento teoretico sia da un punto di vista teorico che della prassi. Dal punto di vista teorico la determinazione dei fenomeni in termini di senso comune non offre nessuna assicurazione circa l’occorrenza di determinare dimensioni psicologiche distintamente ed esaurientemente riferibili a tali fenomeni e per tanto adoperabili per l’interpretazione dei fenomeni stessi. Proviamo a chiarirci con un esempio. Una spiegazione scientifica può pensarsi tale nel momento in cui è in grado di riconoscere una certa classe di dimensioni come sistematicamente implicate nel comportamento di una certa classe di fenomeni. La classe di dimensioni che consentono tale spiegazione possiamo dire che ha la funzione logica di explanation rispetto alla classe di fenomeni interpretati explained. La relazione che si stabilisce tra explanation e explained indica il modello interpretativo che regola la conoscenza del fenomeno. Pensiamo a concetti come emozione, carattere, personalità, inconscio, motivazione, bullismo[...] al loro stretto contatto con il senso comune, e alle conseguenti implicazioni socio-istituzionali che non garantiscono nessun legame tra linguaggio scientifico ed esperienza di vita quotidiana. E’ come se un fisico, ad esempio, utilizzasse la legge di conservazione della massa (nulla si crea, né si distrugge ma tutto cambia) come un explanation di un explained stabilito dal senso comune e che tale explained, ad esempio, sia la categoria ipersemica di “cambio”. Allora il fisico che si troverà ad utilizzare tale categoria lo farà sia per spiegare il cambio di stato da gassoso a liquido, sia per parlare degli operatori di Wall Street alle prese con il cambio euro/dollaro, sia per parlare delle grattatine al cambio quando si mette la retromarcia, sia per parlare del cambio della guardia a Buking Palace, sia per parlare del cambio di stagione che attanaglia madri preoccupate dal tempo incerto...
Quali sono le implicazioni sulla prassi. L’intervento psicologico risulterebbe così fortemente menomato perché lega i suoi obiettivi, la stessa fantasia sulla professione a come è costruito dal senso comune. Se lo psicologo utilizza lo stesso linguaggio, le stesse categorie della committenza per definire il fenomeno di cui si occupa, il suo significato in quel contesto culturale, ecco che lo psicologo si trova pericolosamente esposto al contagio virale della frustrazione, dell’impotenza della committenza stessa. Appare chiaro come tale contagio limiti le possibilità di sviluppo della committenza, obiettivo principale di qualsiasi intervento psicologico clinico.
E' necessario che la psicologia sottoponga a revisione critica i modelli epistemologici su cui si è tradizionalmente basata, in modo da costruirsi come scienza modellistica. Una scienza, cioè, che non prende direttamente dalla realtà gli oggetti del proprio discorso, ma li costruisce concettualmente, nei termini di un linguaggio (una sintassi ed una semantica) ostensibile, validabile, negoziabile, di ultima istanza: sviluppabile e dunque utilizzabile come leva di sviluppo.