EROE O TRADITORE ? AMICO O NEMICO ? DIPENDE
di
Michela Tartaglia
di
Michela Tartaglia
Nel 1898, quando morì la principessa Sissi, Elisabetta aveva 23 anni e, come tutte le mattine, era sul treno
Trento-Innsbruck-Vienna per raggiungere la Farmacia di Innsbruck in cui, nel retrobottega, da tre anni
pestava erbe officinali.
Emozione e commozione non le impedirono di notare un'euforia fuori posto nei gesti, nel discorrere
di un giovane suo coetaneo che saliva sul treno a Trento e proseguiva per Vienna, quasi regolarmente
come lei. Si chiamava Cesare Battisti, allora notato per essere un bel giovane, elegante e chiaramente
benestante, studente universitario.
Elisabetta veniva dalle valli Le Giudicarie, Sud Tirolo, periferia poverissima ma ordinata dell'Impero
Asburgico, da sempre e per sempre suddita convinta.
Altri due anni di lavoro in Farmacia e il suo corredo fu pronto; sposa di un artigiano del ferro battuto,
continuò la sua esistenza modesta e comune nelle valli che, per tutto l'inverno, erano seppellite di neve,
per poi esplodere in colori cobalto e smeraldo nella bella stagione.
La storia scorreva lontana, echi a volte giungevano, commentati sottovoce intorno al desco. E anche nelle
Giudicarie arrivò la chiamata alle armi, accolta come un dovere dai sudditi taciturni e leali di Francesco
Giuseppe. Restarono le donne e i bambini ed Elisabetta era, con le sue erbe, il punto di riferimento per i
piccoli e grandi malanni del paese,con le case di pietra strette l'una all'altra come a confortarsi
e a sostenersi.
Nel Febbraio del 1916 un carro pieno di paglia riportò a casa il marito di Elisabetta, emaciato e
irriconoscibile, lontano dalle trincee in cui, con tanti compagni sbrindellati tra neve e fango,
aveva lasciato la gamba destra. Il tutto aveva il sapore della fatalità, l'accettazione totale portò Elisabetta
ad essere grata al suo Dio per il ritorno del marito e la vita riprese come sempre.
Ma il 10 Luglio 1916 nella battaglia di Vallarsa fu catturato dagli Austriaci il "traditore" irredentista, tenente
Cesare Battisti e, tra gli altri, il sottotenente Fabio Filzi. Il 12 Luglio a Trento, nel Castello del Buon Consiglio,
spogliato della divisa dell'esercito italiano, rivestito alla meglio con abiti civili, fu impiccato Cesare Battisti.
Elisabetta e i suoi compaesani accettarono come giusta l'impiccagione del traditore; in particolare, lei
ricordò per tutta la sua lunga vita la svolta sbagliata di quel bel giovane che, per cinque anni, aveva avuto
come compagno di viaggio. Raccontava ai nipoti la sua giovinezza e i bambini ne assorbivano atmosfera
e rimpianto, col profumo del minestrone alle erbe che solo lei sapeva comporre.
Inverno crudele del 1956: la neve altissima e il freddo immobile non riuscivano a ibernare la vita. All'alba
gli uomini spalavano la neve, aprendo tre varchi, verso lo spaccio alimentare, la chiesetta e la scuola.
Le classi erano in un'aula riscaldata da una stufa di maiolica di asburgica fattura, l'unica maestra insegnava
ai bambini delle cinque classi elementari: un gruppo alle prese con le aste, un altro con le tabelline, il
gruppo sparuto di quinta con la storia. La maestra ex fascista,spiegava l'irredentismo, l'eroismo di
Cesare Battisti. Eroe? Patriota? Il fulgido esempio di vita spesa per la patria?
Dovettero suonare troppo strane queste parole per il piccolo Enrico, intento a copiare le vocali: si alzò in
piedi e protestò che Cesare Battisti era stato un traditore e sua nonna lo sapeva bene, perché l'aveva
conosciuto di persona. Scandalizzata la maestra per questa dichiarazione eretica, sghignazzanti tutti i
compagni, Enrico se ne stette in ginocchio dietro la lavagna, ostinato nel ribadire la sua convinzione.
Come poteva, la maestra, sapere la verità, quando la Nonna aveva vissuto personalmente quelle
vicende?
Questo è un racconto vero, riferito da un Enrico cresciuto, invecchiato, che a sua volta ha
insegnato a molti ragazzi: da italiano, ha elogiato Cesare Battisti, ma in fondo al cuore è nostalgico
del bel mondo parco, paziente, forte e sereno che si formava nella sua mente agl'infiniti racconti di nonna
Elisabetta: i valori di famiglia, lavoro, doveri e diritti; l'obbligo scolastico rigidamente applicato e rispettato;
lealtà verso la grande patria asburgica e l'imperatore, che leggeva personalmente le "suppliche" o le
rispettose rimostranze dei suoi sudditi. Insomma, la "felix Austria" prima della dissoluzione, rimpianta più o
meno velatamente da Musil, Werfel, Roth e tanti altri scrittori della galassia esplosa, divulgati mirabilmente
in Italia dagli indimenticabili articoli di Claudio Magris, titolare della cattedra di Letteratura tedesca nelle
Università di Torino e Trieste.
Allora la storia raccontata dovrebbe davvero porre il dubbio sulla percezione della realtà e il suo
relativismo: la vita spesa perché il Trentino fosse italiano, per noi italiani è eroismo. Ma quei Trentini, che
si sentivano fin nel midollo uno dei popoli dell'impero austro-ungarico, non erano nel giusto, se
considerarono Battisti un traditore?
Trento-Innsbruck-Vienna per raggiungere la Farmacia di Innsbruck in cui, nel retrobottega, da tre anni
pestava erbe officinali.
Emozione e commozione non le impedirono di notare un'euforia fuori posto nei gesti, nel discorrere
di un giovane suo coetaneo che saliva sul treno a Trento e proseguiva per Vienna, quasi regolarmente
come lei. Si chiamava Cesare Battisti, allora notato per essere un bel giovane, elegante e chiaramente
benestante, studente universitario.
Elisabetta veniva dalle valli Le Giudicarie, Sud Tirolo, periferia poverissima ma ordinata dell'Impero
Asburgico, da sempre e per sempre suddita convinta.
Altri due anni di lavoro in Farmacia e il suo corredo fu pronto; sposa di un artigiano del ferro battuto,
continuò la sua esistenza modesta e comune nelle valli che, per tutto l'inverno, erano seppellite di neve,
per poi esplodere in colori cobalto e smeraldo nella bella stagione.
La storia scorreva lontana, echi a volte giungevano, commentati sottovoce intorno al desco. E anche nelle
Giudicarie arrivò la chiamata alle armi, accolta come un dovere dai sudditi taciturni e leali di Francesco
Giuseppe. Restarono le donne e i bambini ed Elisabetta era, con le sue erbe, il punto di riferimento per i
piccoli e grandi malanni del paese,con le case di pietra strette l'una all'altra come a confortarsi
e a sostenersi.
Nel Febbraio del 1916 un carro pieno di paglia riportò a casa il marito di Elisabetta, emaciato e
irriconoscibile, lontano dalle trincee in cui, con tanti compagni sbrindellati tra neve e fango,
aveva lasciato la gamba destra. Il tutto aveva il sapore della fatalità, l'accettazione totale portò Elisabetta
ad essere grata al suo Dio per il ritorno del marito e la vita riprese come sempre.
Ma il 10 Luglio 1916 nella battaglia di Vallarsa fu catturato dagli Austriaci il "traditore" irredentista, tenente
Cesare Battisti e, tra gli altri, il sottotenente Fabio Filzi. Il 12 Luglio a Trento, nel Castello del Buon Consiglio,
spogliato della divisa dell'esercito italiano, rivestito alla meglio con abiti civili, fu impiccato Cesare Battisti.
Elisabetta e i suoi compaesani accettarono come giusta l'impiccagione del traditore; in particolare, lei
ricordò per tutta la sua lunga vita la svolta sbagliata di quel bel giovane che, per cinque anni, aveva avuto
come compagno di viaggio. Raccontava ai nipoti la sua giovinezza e i bambini ne assorbivano atmosfera
e rimpianto, col profumo del minestrone alle erbe che solo lei sapeva comporre.
Inverno crudele del 1956: la neve altissima e il freddo immobile non riuscivano a ibernare la vita. All'alba
gli uomini spalavano la neve, aprendo tre varchi, verso lo spaccio alimentare, la chiesetta e la scuola.
Le classi erano in un'aula riscaldata da una stufa di maiolica di asburgica fattura, l'unica maestra insegnava
ai bambini delle cinque classi elementari: un gruppo alle prese con le aste, un altro con le tabelline, il
gruppo sparuto di quinta con la storia. La maestra ex fascista,spiegava l'irredentismo, l'eroismo di
Cesare Battisti. Eroe? Patriota? Il fulgido esempio di vita spesa per la patria?
Dovettero suonare troppo strane queste parole per il piccolo Enrico, intento a copiare le vocali: si alzò in
piedi e protestò che Cesare Battisti era stato un traditore e sua nonna lo sapeva bene, perché l'aveva
conosciuto di persona. Scandalizzata la maestra per questa dichiarazione eretica, sghignazzanti tutti i
compagni, Enrico se ne stette in ginocchio dietro la lavagna, ostinato nel ribadire la sua convinzione.
Come poteva, la maestra, sapere la verità, quando la Nonna aveva vissuto personalmente quelle
vicende?
Questo è un racconto vero, riferito da un Enrico cresciuto, invecchiato, che a sua volta ha
insegnato a molti ragazzi: da italiano, ha elogiato Cesare Battisti, ma in fondo al cuore è nostalgico
del bel mondo parco, paziente, forte e sereno che si formava nella sua mente agl'infiniti racconti di nonna
Elisabetta: i valori di famiglia, lavoro, doveri e diritti; l'obbligo scolastico rigidamente applicato e rispettato;
lealtà verso la grande patria asburgica e l'imperatore, che leggeva personalmente le "suppliche" o le
rispettose rimostranze dei suoi sudditi. Insomma, la "felix Austria" prima della dissoluzione, rimpianta più o
meno velatamente da Musil, Werfel, Roth e tanti altri scrittori della galassia esplosa, divulgati mirabilmente
in Italia dagli indimenticabili articoli di Claudio Magris, titolare della cattedra di Letteratura tedesca nelle
Università di Torino e Trieste.
Allora la storia raccontata dovrebbe davvero porre il dubbio sulla percezione della realtà e il suo
relativismo: la vita spesa perché il Trentino fosse italiano, per noi italiani è eroismo. Ma quei Trentini, che
si sentivano fin nel midollo uno dei popoli dell'impero austro-ungarico, non erano nel giusto, se
considerarono Battisti un traditore?