Il costrutto di |Affido|
di Alessandro Mancinella
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Il lavoro che ci accinge a sviluppare ha l'obiettivo di modelizzare un
costrutto (non quindi isolare un “pezzo” di realtà) costruirlo teoreticamente
grazie all'uso di strumenti concettuali messi a disposizione dalla
psicologia-clinica. E, soprattutto, interessano le implicazioni operative di
tale modelizzazione per l'intervento psicologico nei vari settori di attività
-consulenza, formazione, psicodiagnosi, intervento con le istituzioni, ricerca.
La premessa teorica dalla quale partiamo è quella che guarda alla mente (e ai
suoi prodotti) come a una funzione generatrice di senso (attuale e contingente)
all'interno dei contesti in esame. Secondo tale approccio, tutta la realtà
sociale, e quindi anche tutte le “realtà” psicologiche (ivi incluso l'affido)
sono non tanto frammenti di realtà inscritte nella mente degli esseri umani una
volta per tutte, né sono forme di rappresentazione astratte ed
universali, ma repertori di significati negoziati,
scambiati,contingenti e situati dei sistemi di
convivenza/appartenenza impegnati in una continua attività di costruzione e di
spiegazione della realtà.
Una tale prospettiva apre due diverse opzioni. La prima è di trattare l'affido avvicinandosi ai codici del senso comune, ovvero restando relegati in una dimensione prettamente morale, a-contestuale ed universalistica. La seconda è di modelizzare non il fenomeno ma i processi psicologici che sostengono la costruzione, il mantenimento, il dispiegamento dell'affido in un'ottica che, possiamo già anticipare, sia di natura non sostitutiva ma integrativa. Cosa vuol dire questa prima affermazione. Pensare l' |affido| in un'ottica integrativa piuttosto che sostitutiva significa pensare l' |affido| non in termini di una prefigurazione di uno stato terminale configurato come esito di un processo di trasformazione: la situazione di crisi e problematicità, stato iniziale del processo di trasformazione, viene ad essere definita in termini di scarto dalla normalità. Il processo che si attiverà non potrà non essere ortopedico, volto al “recupero” della deviazione della normalità.
Nell'ottica integrativa, invece, l'obiettivo non è quello di risolvere magicamente la crisi al posto di qualcun'altro (un contesto entrato in crisi), ma di supportare lo sforzo di incremento di competenza che quest'altro compie per/nel prendersi carico della crisi. La funzione integrativa, pertanto, non può prevedere gli effetti terminali che il proprio intervento avrà sulla situazione di crisi. L'incremento di competenza non si definisce rispetto ad un sistema di riferimento posto fuori dal contesto in crisi, ma si definisce in termini differenziali tra un prima ed un dopo: come sviluppo della capacità di gestire in qualche modo la crisi. Come si evince da queste righe, non abbiamo mai parlato di persone singolarmente, ma di contesti.
Proviamo ad aggiungere, seguendo questa scia, un altro tassello alla nostra costruzione di senso intorno all' |affido| provando a dire che ciò che viene affidato non è un singolo (bambino, adolescente) ma un contesto in cui qualcosa è fallito. Accogliendo un membro di un contesto entrato in crisi si accoglie la sua storia, le sue rappresentazioni intorno al concetto di attaccamento, la sua cultura e non si può non pensare che l'oggetto dell'affido siano proprio gli aspetti culturali che sorreggono la sua struttura e che ora risultano essere disfunzionali. Inoltre possiamo ritenere che l’affido non sia unicamente centrato sul “bambino”, ma rappresenta un progetto di intervento e di recupero (oserei dire sviluppo) del suo nucleo familiare.
Ma l'affido è anche l'incontro tra due contesti: quello appunto disfunzionale e quello affidatario, portatore anch'esso di una proprio modo di vedere il mondo, di una propria cultura. L’arrivo di un nuovo componente in un sistema familiare ne trasforma radicalmente le modalità di funzionamento, cioè le regole che governano il precedente equilibrio del gruppo. Pertanto siamo al cospetto di due contesti in cambiamento, che attraverso la loro relazione cercano di trovare un nuovo equilibrio più funzionale al loro funzionamento. Uno degli aspetti fondamentali nel lavoro di “ricerca-formazione” sarà dunque la rilevazione delle capacità di far fronte ai cambiamenti dei due contesti. Come e in che misura la loro cultura è in grado di attivare risorse per far fronte a ciò.
Corollario di tutto ciò sono le aspettative che possono regolare ed organizzare l'incontro tra questi contesti. Il rischio è quello di uno scontro tra aspetti valoriali. Ma proprio in funzione di una visione integrativa è importante sottolineare come la dimensione da promuovere (soprattutto forse in ambito formativo) sia quella dell'estraneità, che supera le dicotomie riduttive e semplicistiche del buono/cattivo, giusto/sbagliato, ma che si colloca in una dimensione terza di sospensione di giudizio nel quale ci si appresta a tollerare l'ansia di non capire subito tutto (proponendo aprioristicamente il proprio punto di vista) promuovendo un processo di conoscenza libero da pregiudizi, anticipazioni di ruolo, valori e fondato sulla comunicazione e volto alla ricerca di comprensione dei dispositivi emozionali che sorreggono la relazione con lui.
Possiamo allora concludere questa premessa teoretica intorno al costrutto di |affido| affermando che esso è
l'incontro di diversi contesti organizzativi(affidato, affidatario, professionale) che abbandonando la loro architettura valoriale abbracciano un processo integrativo il cui oggetto dell'affido è il contesto culturale entrato in crisi e il cui obiettivo è volto allo sviluppo delle sue competenze decisionali.
Una tale prospettiva apre due diverse opzioni. La prima è di trattare l'affido avvicinandosi ai codici del senso comune, ovvero restando relegati in una dimensione prettamente morale, a-contestuale ed universalistica. La seconda è di modelizzare non il fenomeno ma i processi psicologici che sostengono la costruzione, il mantenimento, il dispiegamento dell'affido in un'ottica che, possiamo già anticipare, sia di natura non sostitutiva ma integrativa. Cosa vuol dire questa prima affermazione. Pensare l' |affido| in un'ottica integrativa piuttosto che sostitutiva significa pensare l' |affido| non in termini di una prefigurazione di uno stato terminale configurato come esito di un processo di trasformazione: la situazione di crisi e problematicità, stato iniziale del processo di trasformazione, viene ad essere definita in termini di scarto dalla normalità. Il processo che si attiverà non potrà non essere ortopedico, volto al “recupero” della deviazione della normalità.
Nell'ottica integrativa, invece, l'obiettivo non è quello di risolvere magicamente la crisi al posto di qualcun'altro (un contesto entrato in crisi), ma di supportare lo sforzo di incremento di competenza che quest'altro compie per/nel prendersi carico della crisi. La funzione integrativa, pertanto, non può prevedere gli effetti terminali che il proprio intervento avrà sulla situazione di crisi. L'incremento di competenza non si definisce rispetto ad un sistema di riferimento posto fuori dal contesto in crisi, ma si definisce in termini differenziali tra un prima ed un dopo: come sviluppo della capacità di gestire in qualche modo la crisi. Come si evince da queste righe, non abbiamo mai parlato di persone singolarmente, ma di contesti.
Proviamo ad aggiungere, seguendo questa scia, un altro tassello alla nostra costruzione di senso intorno all' |affido| provando a dire che ciò che viene affidato non è un singolo (bambino, adolescente) ma un contesto in cui qualcosa è fallito. Accogliendo un membro di un contesto entrato in crisi si accoglie la sua storia, le sue rappresentazioni intorno al concetto di attaccamento, la sua cultura e non si può non pensare che l'oggetto dell'affido siano proprio gli aspetti culturali che sorreggono la sua struttura e che ora risultano essere disfunzionali. Inoltre possiamo ritenere che l’affido non sia unicamente centrato sul “bambino”, ma rappresenta un progetto di intervento e di recupero (oserei dire sviluppo) del suo nucleo familiare.
Ma l'affido è anche l'incontro tra due contesti: quello appunto disfunzionale e quello affidatario, portatore anch'esso di una proprio modo di vedere il mondo, di una propria cultura. L’arrivo di un nuovo componente in un sistema familiare ne trasforma radicalmente le modalità di funzionamento, cioè le regole che governano il precedente equilibrio del gruppo. Pertanto siamo al cospetto di due contesti in cambiamento, che attraverso la loro relazione cercano di trovare un nuovo equilibrio più funzionale al loro funzionamento. Uno degli aspetti fondamentali nel lavoro di “ricerca-formazione” sarà dunque la rilevazione delle capacità di far fronte ai cambiamenti dei due contesti. Come e in che misura la loro cultura è in grado di attivare risorse per far fronte a ciò.
Corollario di tutto ciò sono le aspettative che possono regolare ed organizzare l'incontro tra questi contesti. Il rischio è quello di uno scontro tra aspetti valoriali. Ma proprio in funzione di una visione integrativa è importante sottolineare come la dimensione da promuovere (soprattutto forse in ambito formativo) sia quella dell'estraneità, che supera le dicotomie riduttive e semplicistiche del buono/cattivo, giusto/sbagliato, ma che si colloca in una dimensione terza di sospensione di giudizio nel quale ci si appresta a tollerare l'ansia di non capire subito tutto (proponendo aprioristicamente il proprio punto di vista) promuovendo un processo di conoscenza libero da pregiudizi, anticipazioni di ruolo, valori e fondato sulla comunicazione e volto alla ricerca di comprensione dei dispositivi emozionali che sorreggono la relazione con lui.
Possiamo allora concludere questa premessa teoretica intorno al costrutto di |affido| affermando che esso è
l'incontro di diversi contesti organizzativi(affidato, affidatario, professionale) che abbandonando la loro architettura valoriale abbracciano un processo integrativo il cui oggetto dell'affido è il contesto culturale entrato in crisi e il cui obiettivo è volto allo sviluppo delle sue competenze decisionali.